Una luce nel buio: nella Giornata nazionale delle cure palliative, l’abbraccio delle famiglie al personale sanitario
“Sono entrati in punta di piedi nella nostra vita in un momento molto difficile, con loro mi sono sentita subito come in una campana di vetro, protetta, sicura che in qualsiasi momento avrei saputo a chi affidarmi direttamente per aiutare mio marito Andrea”. Silvia Sarti, insieme alla figlia Gaia, ricorda il primo approccio con gli operatori sanitari domiciliari delle cure palliative. Nella sede della zona distretto Valdelsa dell’Asl Toscana sud est alcune famiglie incontrano medici e infermieri, insieme al direttore di zona Biancamaria Rossi, in occasione della Giornata nazionale delle cure palliative. L’occasione per ripercorrere un’esperienza che, nel dolore per un percorso faticoso e la perdita di un familiare, ha rappresentato un appiglio di conforto e speranza.
Il medico palliativista entra in campo quando c’è necessità di intervenire sui sintomi di una malattia in stato molto avanzato. All’interno dell’ospedale di Campostaggia è attivo l’hospice con quattro posti letto, ma la parte più rilevante dell’attività (che coinvolge attualmente circa trenta pazienti nei cinque comuni valdelsani) si svolge a casa delle persone malate, con gli infermieri dell’assistenza domiciliare territoriale che garantiscono un’assistenza quotidiana. Il servizio è attivato dai medici di medicina generale, soprattutto per la gestione del dolore dei pazienti.
“Mia moglie Patrizia da quando ha scoperto la malattia è sempre stata a casa – racconta Pasquale Punzo – e da subito si è attivato il contatto con quelli che ho chiamato i nostri angeli. Abbiamo sempre ricevuto assistenza qualificata, ma anche sicurezza e speranza. Fino agli ultimi giorni ci hanno aiutato a dare serenità a mia moglie, anche grazie a un sistema di comunicazione che mette tutti in rete. Quando andavo dall’oncologo o dal medico di famiglia, tutti erano costantemente aggiornati sull’evoluzione della situazione dal personale che ci seguiva a domicilio. E questo ha facilitato molto le nostre richieste di intervento dei vari soggetti”.
Un sostegno sanitario, ma non solo. “L’assistenza ha fatto bene a mio babbo Romano ed è stata di aiuto per noi familiari – dice Manola Borgogni, con la mamma Pasquina – perché avevamo bisogno di capire come affrontare la situazione. Al di là della professionalità, l’umanità degli operatori sanitari è stata per noi un costante punto di riferimento. Sapere che a qualsiasi ora di qualsiasi giorno, magari di fronte a un momento critico, potevamo mandare un messaggio e ricevere una risposta, ci ha dato tanta forza. Mio padre aspettava sempre la visita degli infermieri che lo hanno seguito giorno per giorno, è stato uno stimolo straordinario per lui”.
A dialogare con le famiglie la dottoressa Giulia Orlandini, medico palliativista, Sonia Buselli, operation manager dell’area Valdelsa, Simona Codevilla, coordinatore infermieristico, con il direttore di zona Biancamaria Rossi. “Ringrazio le famiglie per i riconoscimenti al lavoro dei nostri operatori – ha detto Rossi –, testimonianze che potrebbero essere inserite all’interno dei percorsi di formazione per rappresentare come il lavoro di questi professionisti viene percepito all’esterno, al di là ovviamente della competenza. Queste parole confermano l’importanza di sviluppare quei percorsi su cui, oltre la legislazione nazionale, l’Azienda è fortemente impegnata e che portano al potenziamento dei servizi territoriali e dell’assistenza domiciliare”.
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Un percorso che unisce la qualità del lavoro alla capacità di interagire con i pazienti e le loro famiglie, impegnate nell’assistenza al domicilio ai propri cari. “Siamo partiti dai prelievi del sangue, poi abbiamo avuto bisogno di una presenza costante del personale infermieristico – ricorda ancora Silvia Sarti –. E per noi è stato come allargare la famiglia. Oltre alla fondamentale assistenza quotidiana, si è instaurato un rapporto umano che rappresenta la forza di questa attività. Nel periodo del Covid, per dire, gli infermieri hanno rappresentato l’unico contatto col mondo esterno per mio marito e questo ha voluto dire tanto. Se posso esprimere un auspicio, spero che il servizio di assistenza domiciliare possa essere sempre più incentivato, come riconoscimento delle competenze e disponibilità che in tanti abbiamo potuto riscontrare nella nostra esperienza”.